De profundis per il taglio degli ippocastani nella frazione Chiarini

Li hanno tagliati senza pietà, senza alcun rispetto per i loro onoratissimi sessant’anni, per i frutti, per i fiori, per il cibo offerto agli insetti, per l’ombra e l’ossigeno dispensati a tutti noi, per aver garantito ai tanti alunni della scuola elementare dei Chiarini un ambiente sano e confortevole.

Poi, coetanei di questi bravi ragazzi – divenuti nel frattempo uomini, padri, nonni – li hanno uccisi, uno ad uno, con efficienza impeccabile e metodica precisione, in una sola giornata d’autunno, indifferenti ai sentimenti d’amore di chi, in quel frangente, non aveva parole e voce per fermare lo scempio che stavano compiendo.

Forse gli ippocastani avevano raggiunto dimensioni troppo ingombranti? Forse lo spazio che occupavano era ormai destinato ad altro? Non è dato saperlo. Il provvidenziale ricorso all’alibi del tarlo asiatico è servito, infine, a decretarne la condanna.

Ho orrore di gesti dove il presunto vessillo di un “beneficio superiore” induce molti a commettere atrocità.

Piango il dolore di alberi che non sono più, di cinguettii che nessuna eco diffonderà nell’etere, di nidi che mancheranno per sempre e di uova che in primavera non potranno dischiudersi, perché mai deposte.

Mi inginocchio sull’asfalto di questa piazzetta e prego al vuoto che ho di fronte; mancando rami e fronde in cui potersi insinuare temo che anche le brezze ci priveranno dei loro respiri per moltissimo tempo.

A quasi cinquecento anni dalla sua composizione penso e medito la straziante elegia di Ronsard per la distruzione della foresta di Gastine. Quell’ “Écoute bûcheron” ancora mi tormenta e ossessiona, e sempre continuerà a farlo finché situazioni simili avranno braccia su cui contare.

Propongo una libera traduzione dei versi citati, dove i testi fra parentesi sono intrusioni mie:

“Ascolta tagliaboschi, trattieni un po’ il tuo braccio, non sono (solo) legni quelli che stai abbattendo. Non vedi il sangue sgorgare a forza dalle ninfe che vivono sotto la dura corteccia (degli alberi).

Assassino sacrilego, se si impicca (anche) un ladro per aver saccheggiato un bottino di modesto valore, quanto (disprezzo in) più meriti tu, in fuochi, ferri, morti e afflizioni, (oh essere) malvagio, per aver ucciso delle Dee?”

Penso e medito, ma sono consapevole che l’esperienza degli altri non insegnerà mai nulla a chi rifiuta di accettare l’inestimabile patrimonio del ricordo.

Giancarlo Durosini