Nella ricerca storica accade alle volte di imbattersi in documenti preziosi, note storiche particolari, e avvenimenti che lasciano sgomenti. Uno di questi casi è quello dell’infanticida di Rovato che commise atrocità tali da esser relegato nell’oblio della memoria collettiva.

Il protagonista della vicenda che ho raccontato anche in un video su YouTube è Tommaso Basurini (Bazzurini) detto Tononi, nato a Cazzago S.M. il 17 giugno 1786, sposatosi con Lucrezia Ferrata l’1 novembre 1812, curandajo, cioè lavandaio, segnalato anche come calzolaio sbiancatore di tele. Dal processo messo in piedi dalle autorità del Regno Lombardo-Veneto emergono i tratti di una persona avida, violenta, incapace di provare rimorso.

La tragedia è ben descritta dal sunto degli atti. Tommaso e Lucrezia hanno avuto 12 figli, tutti periti entro i 60 giorni dalla nascita. In questi numerosi lutti «non erasi mai visto spuntare nel padre un lampo di sentimento». Al dolore della moglie e allo stupore dei conoscenti rispondeva freddamente che la morte dei figli era volontà del Cielo. Che alcuni fossero realmente morti naturalmente è probabile, tuttavia i testimoni hanno riferito che i bambini sono sempre morti nei momenti in cui la madre era assente. In un caso si racconta che Lucrezia lasciò a lui il figlioletto per andare dalla vicina e pochi minuti dopo, Tommaso l’avrebbe raggiunta porgendole il neonato con agghiaccianti parole: “prendilo che è morto”. I testimoni hanno ricordato che sul volto di quel bambino era apparso un rivolo di sangue dal naso e un lividore sul mento.

I frequenti traslochi avevano impedito che nascesse nei suoi confronti un vero e proprio sospetto da parte dei vicini, fino a quando i numerosi lutti e gli atteggiamenti per nulla empatici del padre iniziarono a far pensare. Nel 1833 gli nacque Giuseppe ed un vicino, in accordo con un Deputato Comunale, teneva sott’occhio le azioni di Tommaso.

Il 4 novembre, giorno di festa patronale, la moglie si alzò come di consueto per andare dal padrone del caseggiato a fare la domestica. Il marito che stava nel cortile la vide andare. Quando Lucrezia rientrò Tommaso stava menando il badile nel cortile e dopo poco si sentì la poveretta urlare: “Tomàs! Tomàs!”. Quelle grida rabbrividirono i vicini, ma il Bazzurini accorse solo dopo aver ripulito la vanga con fare indifferente. Alla moglie che gli diceva d’aver trovato morto anche il dodicesimo figlio, Tommaso non proferì alcuna emozione. Si limitò a prendere la misura del cadaverino e raccogliere quattro assi e dei chiodi vecchi coi quali fare una cassa.

In quei frangenti il vicino che lo teneva d’occhio allarmò il Comune, il quale avvisò la Pretura di Chiari che dispose il sequestro della cassa che il Bazzurini aveva già chiusa. L’autopsia non lasciò dubbi: il medico legale segnalò lividore alla gola ed al petto, dove scoprì che quattro costole erano rotte presso il polmone sinistro ed il cuore era spaccato.

Arrestato e intimorito dal popolo che voleva linciarlo, Tommaso confessò, ma solo dell’ultimo omicidio. Cercò di attenuare la sua colpa con la scusa che avendo problemi economici, non intendeva sperperare denari per crescere un figlio. Questa sua avidità lo aveva condotto in passato a cavar guadagno dalla tragedia, visto che in varie occasioni ottenne un compenso facendo lavorare come balia la moglie.

Orribile la descrizione dell’omicidio: colle prime due dita della mano sinistra, afferrata alla gola la sua creatura per impedirne i vagiti, stringeva a pugno la destra con prominenza della seconda falange del dito medio, premendogliela al petto in direzione del cuore, fino al crepitio delle ossa ed all’arresto del respiro.

Finì sulla forca presso il campo Marte di Brescia con sentenza emessa entro la fine dell’anno. Il sunto degli atti così conclude: «Con la sentenza capitale che viene oggidì eseguita, la Giustizia va a recidere dal consorzio sociale un aborto, che ha aggravata di tanto la umiliazione della umana natura, e del quale si potrà così seppellire anco la memoria!»

Alberto Fossadri