A volte la storia risulta divertente, soprattutto quando i soggetti di studio facilitano l’immaginazione dei chiacchiericci e delle battutine ironiche che potrebbero esser circolate al tempo. Come per la monaca di Monza, anche a Rovato dev’esserci stato un tempo in cui sacro e profano andavano a braccetto.

L’autore di questa scoperta è l’instancabile don Gianni Donni, parroco di S. Anna, che tempo fa mi passò le trascrizioni ai documenti che mettono in luce la storia del sacerdote milanese Alessandro Malagrida (o Malacrida). Nel 1558-1566 era cappellano di SS. Nicola e Bernardino; nel 1565 accede al beneficio parrocchiale di Rovato per permuta. Vi rinuncerà 10 anni dopo in favore di don Lorenzo Bersini, il quale accoglierà S. Carlo ed erigerà l’attuale chiesa parrocchiale.

Malacrida è segnalato come sacerdote di valore in veste di vicario del parroco di Rovato don Giulio Donini, per il quale nel 1560 fece l’ispezione preparatoria alla visita del vescovo Bollani, anche se talvolta si firma prevosto ben prima della sua elezione (1565). Il Moreschi di lui scrive: «esercitò questo la dignità di prevosto con tanta applicazione e soddisfazione di tutti nel corso di dieci anni che meritossi l’amore e la venerazione del popolo. Giunto questo all’età di sessant’anni, pinguissimo di corpo come era reggendosi di già inabile a reggere sotto il grave debito che seco portava la dignità prepositurale risolse fare di questa libera volontaria rinuncia al rev. don Lorenzo Bersini come di fatto seguì sotto li 11 dicembre 1575 rinunciando al Bersini in mano del Pontefice Gregorio XIII».

Dopo la sua rinuncia a Rovato (per la quale il Bersini gli passava una pensione di 60 ducati) andò a Ghedi dove nel 1577 sarebbe stato eletto nuovo arciprete, anche se è costretto a rinunciarvi nel 1581 ritirandosi a vivere a Milano con la famiglia di S. Carlo Borromeo, con cui è in rapporti da tempo.

È proprio nel periodo in cui si trova a Ghedi (1580) che al vescovo di Brescia giunge da Milano una lettera del Borromeo, da cui possiamo dedurre che il passato del prevosto non dev’essere stato troppo casto… 

Al vescovo di Brescia.

Reverendissimo Signore come fratello.

Si ritrova già sette anni orsono nella casa del soccorso di Milano una giovane d’anni 24 in circa, vergine figliuola di Alessandro Malacrida milanese, che preposto di Ghedo diocese di vostra Signoria, la quale è molto aliena da farsi monaca, ma desidera maritarsi, et suo padre vorrebbe ch’ella entrasse in un monasterio, et per ciò non gli vuol dar dote, con tutto che ne sia stato ricercato dai diputati di quella casa del Soccorso, et che habbia anco honesta commodità di farlo. Però prego vostra Signoria a voler far’ogni officio et anco se bisogna constringere il sudetto preposto di Ghedo a voler dare  a questa sua figliuola una honesta dote, acciò si possa accommodare. Con il qual fine a vostra Signoria mi raccommando et offero di cuore.

Don Gianni scopre che quando il Bissoni governava il “Soccorso” di Milano, c’era nella pia casa una giovane chiamata Cornelia Malagrida. Dopo le lettere del Borromeo il padre arciprete scrive diverse lettere al capitolo e anche al signor Pinamonte Rabbia, procuratore della pia casa, promettendo che avrebbe dato lire 500 per il matrimonio della figlia, ma le sue resistenze sono dimostrate da quanto il prete prolunga la questione, fino al punto che il capitolo della pia casa supplica il cardinale perché il Malagrida provveda alla figliola versando le 500 lire…

Stando all’età della giovane, Cornelia dev’essere nata nel 1555, quando cioè il Concilio di Trento non era ancora concluso, e perciò il serrato celibato dei sacerdoti non era ancora entrato in vigore. Proprio S. Carlo sarà uno dei principali sostenitori della linea dura sul celibato e la castità dei preti. Chissà se anche la gestione dei panni sporchi del suo amico Malagrida non lo abbia influenzato verso questa presa di posizione.

Alberto Fossadri