Fresco di assegnazione della massima onorificenza rovatese, il “Leone d’oro”, un curriculum professionale di tutto rispetto, incontriamo oggi il dott. Adriano Pagani, per anni medico internista, dirigente ospedaliero e direttore sanitario della sezione Avis Rovato:

 I – Congratulazioni per il “Leone d’oro” assegnatole! Da medico ha avuto numerosi incarichi come dirigente all’interno delle strutture sanitarie del nostro territorio. Come è stata la sua esperienza in tutti questi anni? Quale ricorda particolarmente positiva?

A.P. – «Innanzitutto desidero ringraziare il Sindaco che, a nome della Comunità di Rovato, ha ritenuto opportuno conferirmi il “Leone d’oro”; non me l’aspettavo ma mi ha fatto molto piacere!

Ho avuto la fortuna di intraprendere una bella professione, quella di medico con la specializzazione in Medicina interna. Ho iniziato a lavorare nella Medicina dell’Ospedale Spalenza di Rovato dove ho incontrato colleghi che hanno contribuito alla mia formazione e crescita professionale; poi la continua acquisizione di competenze cliniche e la loro messa in pratica è stata gratificante e motivo di soddisfazione personale.

Nel 2003 ho iniziato la mia esperienza di Direttore dell’unità operativa di Medicina generale, prima a Orzinuovi, poi a Iseo, ed infine a Chiari quando mi è stato anche dato l’incarico di dirigere il Dipartimento di Medicina e Riabilitazione. È stato stimolante coordinare il lavoro dei miei collaboratori e interagire con i medici di altri reparti ospedalieri e con i diversi medici di famiglia distribuiti sul territorio.

Ho poi partecipato a diversi gruppi di lavoro istituiti per migliorare i servizi offerti dall’Azienda Ospedaliera e rendere operative le disposizioni che venivano emanate nelle diverse riforme regionali della Sanità.  

Nella mia professione ci sono poi esperienze positive derivate dal rapporto con le persone che ti si affidano per i diversi problemi di salute. È gratificante seguirle nel favorevole decorso della malattia ma anche accompagnare loro ed i familiari nel difficile percorso delle fasi terminali».


I – Per ben 42 anni è stato anche direttore sanitario della sezione AVIS di Rovato, immagino una grande responsabilità visto che i donatori di sangue ad oggi sono quasi 1.000. Che cosa l’ha spinta ad assumere e condurre per così tanti anni questo incarico? Come si è evoluto il mondo della donazione in tutto questo periodo?

A.P. – «Quando si è giovani si è più aperti alle cose e alle persone che ci circondano; nella mia famiglia ho imparato il rispetto per le altre persone e per la loro dignità;  frequentare poi l’Oratorio di Rovato ha meglio strutturato questa attitudine e così, da studente di Medicina,  mi sono iscritto all’AVIS di Rovato e poi una volta laureato il presidente di allora, Giuseppe Bombardieri, che si trovava nella necessità di sostituire i precedenti direttori sanitari (Prof. Ghiringhelli e dott. Melotti)  mi ha proposto di assumere la Direzione sanitaria della sezione. Mi ha contagiato l’entusiasmo del consiglio direttivo che aveva favorito il coinvolgimento delle frazioni di Rovato che ha poi determinato la crescita della nostra sezione. Ricordo con piacere le donazioni che l’AVIS ha fatto all’Ospedale di Rovato (un Gastroscopio, un Elettrocardiografo adatto ad eseguire test da sforzo) ma soprattutto la scelta e l’impegno di recuperare la Chiesa di San Michele per farne il tempio del donatore.

Ci sono stati anche momenti difficili nei rapporti con l’allora Ente Ospedaliero Chiari-Rovato tanto che fu messa in discussione la possibilità di operare all’interno dell’Ospedale di Rovato. L’impegno dei diversi presidenti, supportati dall’Amministrazione comunale ha di fatto risolto la questione e finalmente L’AVIS si è dotata di una sede adeguata, con una convenzione che ne garantisce l’operatività.

In 42 anni ho vissuto i progressi nella medicina in generale ed anche nel mondo della Donazione di sangue: siamo passati dalle siringhe di vetro a quelle monouso, dalle bocce di vetro alle sacche per la raccolta di sangue, dalle bilance a “occhio” a quelle a molla ed infine a quelle elettroniche e poi interventi atti a migliorare il confort del donatore.

Alla raccolta del sangue intero si è affiancata la plasmaferesi ossia la donazione del solo plasma. C’è stata un’evoluzione tecnica e normativa nella raccolta di sangue volta a garantire sia la sicurezza di chi riceve il sangue che la salute dei donatori e ci siamo adattati tutti, medici, infermieri e soprattutto i donatori.

La stretta collaborazione con il Centro Trasfusionale di Chiari ha supportato questa positiva evoluzione. Nel frattempo l’AVIS è cresciuta in numero di donatori, di donazioni ed anche come punto di riferimento nella comunità di Rovato e nelle zone limitrofe.

È stimolante vedere quanta gente, soprattutto giovani, che appena superata la soglia della maggiore età si vogliono iscrivere all’AVIS».


I – Sensibilità, umanità, umiltà, capacità di ascolto, so di certo essere qualità che le appartengono; ritiene che siano essenziali nello svolgimento della professione di medico ed anche nel ruolo di dirigente?

A.P. – «Le rispondo con la voce di un autorevole collega che giustamente voleva ridimensionare il concetto di Missione del medico. “Quella del medico non è una missione ma il medico deve essere un professionista premuroso che esercita una professione caratterizzata da una componente umanistica: si lavora con persone e si offrono servizi a persone. L’ammalato ha tanto bisogno di essere capito e ascoltato quanto di essere curato e guarito”.

La capacità di ascoltare, di prendersi cura dell’altro e un po’ di pazienza aiutano a svolgere meglio il proprio lavoro ed anche a coordinare l’attività dei propri collaboratori. Ritengo sia importante contribuire a creare un clima sereno nell’ambiente di lavoro ove le singole professionalità possano integrarsi e sentirsi partecipi nel realizzare l’obiettivo comune».

I – Come uomo vuole raccontare qualcosa di sé per farsi meglio conoscere dai nostri lettori. Ha qualche sogno nel cassetto che vorrebbe realizzare?

A.P. – «L’impegno professionale mi ha coinvolto veramente molto lasciandomi poco tempo per coltivare hobbies. Come ho già detto nel ricevere la benemerenza del “Leone d’oro”, devo ringraziare mia moglie che, non ostante il suo impegno come Pediatra, si è fatta carico della maggior parte della gestione familiare.

Siamo diventati nonni e la cosa ci ha dato nuovi impegni ma tanta gioia.

Attualmente mi piace passare tempo in giardino a svolgere qualche lavoro alla mia portata e fare passeggiate con mia moglie nel nostro bel territorio.

Mi piacerebbe fare qualche viaggio per meglio conoscere le bellezze della nostra Italia e di altri luoghi mai visti».

Emanuele Lopez