L’aurora boreale che abbiamo potuto osservare anche sui cieli bresciani lo scorso 10 maggio, causata dalla più forte tempesta solare degli ultimi 21 anni, non è del tutto una novità. Anche se ovviamente, a queste latitudini, è rarissimo poter assistere a questo fenomeno nell’arco di una vita.

Un fenomeno certo raro ma non impossibile da vedere nelle nostre zone. E chissà quante volte i bresciani delle varie epoche hanno potuto esserne affascinati e spaventati… dato che il “turbamento della volta celeste” era un tempo motivo di preoccupazione, di supertizione, e di cattivi presagi.

Nel diario del nobile bresciano Bartolomeo Bianchi, il 24 marzo 1739 troviamo scritto: «Giorno di Pasqua, la sera verso un’ora di notte o dopo poco più, segue un fenomeno chiamato dalli Oltramontani Aurora Boreale, principiando alla cima del Monte Maddalena, estendendosi per un’orea verso le parti oltramontane con chiarore bensì, ma minore di quella di già due anni». Grazie a questa annotazione sappiamo che il “fenomeno” da lui descritto il 12 dicembre 1737 (in realtà avvenne il 16) era un’altra aurora: «Ad un’ora e mezzo di notte comparve un gran fenomeno che ha dato da dire et ha fatto discorrere molti Vironesi. In questa lettera qui annessa si descrive il medesimo». Purtroppo la lettera annessa al diario è andata perduta.

Tuttavia nel diario coevo dell’Alberti, possiamo ricavare qualche annotazione in più: «1737. Apparizion di una gran luce rossastra, alli 16 di dicembre alla prima della notte si fece vedere sul nostro orizzonte di tramontana un fenomeno grandissimo. Questi era una illuminazione grande: rossa molto che principiava dal monte Acuto sopra la Riviera e s’estendeva in longezza sopra tutti li monti bresciani et in larghezza arrivava sino… Esso durò fino alle 9 della notte con chiarezza eguale della più aperta aurora (alba) in quella parte, et il restante dell’orizzonte era tutto oscuro, benché sereno, per non esser visibile la luna. Alle 9 poi quella dirò così nubecula lucida si divise et una parte si ritirò sul veronese verso li monti vicentini e l’altra verso li bergamaschi, ove fu parimente veduto e con gran terrore… Nella Val Sabbia in più luoghi e in Castiglione delle Stiviere si sonò campana a martello perché credettero si abbruciassero le case». Più che stupida superstizione, in questo caso avranno confuso il chiarore dell’aurore con quello plausibile di un incendio oltre collina (visto che entrambe le località presentano delle alture).

Da quest’ultimo diario si può anche capire l’origine del nome “aurora boreale”. Fino a tempi tutto sommato recenti, aurora era sinonimo di alba… visto che il tipo di chiarore si assomiglia a quello dell’alba e dato che noi vediamo quasi unicamente la parte superiore del fenomeno, ne scorgiamo le tinte rosse, non quelle verdastre. Da qui l’accostamento all’alba che sorge normalmente ad est.

Forse questa del 1737, è la stessa aurora osservata da Vincenzo Rosa e descritta erroneamente postuma ad una notte non datata del 1738: «La notte [lasciato in bianco nel testo] grandissima aurora boreale che produsse uno spavento universale e fu creduta presagio della spaventevole epidemia di Perineumonie che nella seguente primavera infierirono massimamente nei nostro contorni e dalle quali morirono solamente in Palazzolo da cento e trenta persone». Eccolo finalmente il “cattivo presagio”. Però si capisce che la scrittura è postuma, ad epidemia già avvenuta. Quindi si spiega che è soprattutto dopo aver vissuto un evento traumatico che viene attribuito ad un evento inspiegabile la responsabilità. Un voler cercare la causa, il “colpevole” di ciò che non si accetta e non si sa spiegare.

Alberto Fossadri