Fenile, Feniletto, Fenilazzo, Fenile Campagna, Fenile dei Frati, Fenile della Fame, Fenile Bruciato, Tezza, Tezze e Tezzolo, Malpaga e Malpaga Nuova, Malgherosse, Campagna, Campagnola e Campazzo, Belprato, Prati Magri, Casella e Casello, sono solo alcuni esempi di nomi di cascine (qui per lo più denominate ‘Fenili’, appunto) che si possono incontrare specialmente nei territori comunali bagnati dal fiume Oglio o nelle storiche ‘Campagne’ di Ghedi, Montichiari, Calvisano e Calcinato poste a ovest del fiume Chiese.

Ma che cosa può accomunare toponimi così diversi tra loro, ci si potrà chiedere? Ebbene, sono tutti rimandi ad un paesaggio pastorale oggi completamente scomparso e del tutto ignorato, ma di antica e florida tradizione in queste aree sin dai secoli medievali.

Ben lontano, ad esempio, dal definire una zona fertile e ben coltivata, come lo intendiamo oggi, il termine ‘campanea’ nel medioevo individuava superfici aride, ciottolose, refrattarie ad ogni tentativo di coltivazione e, pertanto, destinate al pascolo delle greggi. Famosa e molto ambita fu la cosiddetta ‘Campanea Olii’, che si stendeva a cavallo del medio corso dell’Oglio tra Calcio e Soncino, e tra Urago d’Oglio e Orzinuovi. Qui, nei secoli XI e XII, vi possedevano vasti beni i monaci cluniacensi di S. Paolo d’Argon, specie tra Rudiano, Aguzzano (Orzinuovi), Pumenengo e ‘Florianum’ (Torre Pallavicina), dove i pastori del monastero conducevano le loro cospicue greggi a svernare nella stagione fredda. E qui continuarono per molti secoli a radunarsi le greggi transumanti dalle Prealpi, tra autunno e inverno, attratte dai pascoli locali e dalle grandi scorte di fieno contrattate sin dall’anno precedente con gli agricoltori locali e immagazzinate nei numerosissimi “fenili” della zona, appunto. Ed ecco spiegarsi l’origine dei tanti toponimi disseminati in queste aree, dove ai “Fenili”, diffusi un po’ dovunque, si affiancano nomi derivati dalle basi “prato”, “pascolo”, “malga”, “campagna”, ma pure “tezza”, indicativa di luoghi in cui ricoverare il bestiame, “casella” indicativa di capanne o casupole pastorali, “casello” che per secoli ha individuato i luoghi dove si lavora il latte per trasformarlo in formaggio (unica forma di conservazione del latte conosciuta in passato), nonché Malpaga, derivata dal termine “paga” che definì a lungo una porzione di pascolo sufficiente ad alimentare un certo numero di capi di bestiame: in questo caso una “cattiva paga”.

Situazioni analoghe si verificarono per molti secoli pure nella cosiddetta “Campagna” di Montichiari, Ghedi, Calvisano, Montirone e Calcinato: una vasta plaga (calcolata in ca. 7000 ettari ancora nei primi anni del Novecento) rimasta a lungo incolta e semidisabitata, a causa della sua natura arida e permeabile, priva di un sistema di irrigazione efficiente e, perciò, destinata al pascolo, soprattutto di quello transumante, dove ritroviamo il toponimo Malpaga, tra gli altri, ma che agli inizi del XIX secolo fu anche utilizzata dal governo austriaco del tempo come campo di esercitazioni e di manovre militari.

                                                                                                                                        Valerio Ferrari