Otto marzo, una festa importante per ricordare il percorso di emancipazione che ha segnato le figure femminili ma anche l’occasione per rinnovare la memoria delle donne che hanno vissuto nel secolo scorso la vita di paese, la difficoltà di tirare avanti e che, in silenzio e senza rendersene conto, sono state esempi inconsapevoli di forza e coraggio. 

Donne semplici, ricche di tenacia, che raccontano con le loro vite storie struggenti di indipendenza in campagna prima e nell’industria poi dove affioravano per la prima volta i desideri di autonomia, libertà e le ambizioni di un futuro diverso per se stesse e per i propri figli.  

La maggior parte delle donne monteclarensi di inizio Novecento, allorquando essere autonome era ancora un miraggio lontano, era così.

Ruvide, ironiche, taglienti, le donne di Montichiari, di qualsiasi estrazione sociale fossero, hanno lavorato sodo senza mai indulgere a compatirsi o compiangersi e, forse più spesso di quanto volessero, mascherando la propria fragilità con la forza del carattere. 

Molti sono i nomi che potrebbero comparire fra queste righe e ci vorrebbero intere pagine per ricordarle tutte ma nel 1970 il Comune scelse di premiarne una in particolare, emblema e simbolo della forza di volontà generale e di quel carattere fiero che fa parte delle nostre stesse radici.

Si chiamava Caterina Ballini, conosciuta in paese come la «Balina», ed era l’unica donna, probabilmente non solo della Provincia di Brescia ma di tutta la regione, a svolgere il lavoro di raccoglitrice di ghiaia sul Chiese, attività che agli inizi del Novecento, i cavatori cosiddetti «gerì» raccoglievano sul greto del fiume e vendevano in seguito ai muratori. 

La Balina, vedova in giovane età, viveva con i figli in una casetta proprio vicino al fiume e fu l’ultima ad abbandonare questa attività che svolgeva anche d’inverno quan-do si poteva spesso vedere in giro imbacuccata in un vecchio cappotto militare, con una sciarpa nera al collo o nel torrido caldo d’estate con delle logore ciabatte ai piedi e un largo cappello di paglia, sempre accompagnata dal suo fido cavallo che, in una nota poesia che le dedicò lo scrittore monteclarense Germano Possi, rispondeva alle sue richieste affettuoso. 

Nel 1970 proprio alla umile e indipendente Balina venne conferito un premio alla «Modestia e al Silenzio» e il Comune le consegnò una medaglia d’oro. 

Di lei parlò addirittura la stampa nazionale, tanto che la sua fama arrivò fino al Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat che le inviò, oltre alla congratulazioni per un lavoro svolto con umiltà, sacrificio e dedizione, anche un premio in denaro. 

La Balina resta fra le monteclarensi il simbolo più noto delle donne semplici, spesso analfabete, con orizzonti angusti e limitati ma che si rivelano alla lunga essere scintille, embrioni vitali di quello che sono i temi portanti dei vari dibattiti femminili ancora oggi attuali, il vero esempio di indipendenza al quale tutte le donne moderne dovrebbero guardare.

Marzia Borzi