Considerazioni sulle elezioni dei comitati di quartiere di Montichiari.

Non passa giorno che non si scateni una polemica nel mondo della Politica Istituzionale, contro questo o quel partito, questo o quel politico, che ha fatto, ha detto, ha postato, twittato, taggato…. E pure noi del popolo, gente “normale”, ci chiediamo: “ma chi sono questi qua? Mi rappresentano? Sono un mondo a parte? E quando si accordano, si dividono la torta? Come si accordano? Su cosa e per cosa si accordano? Ci chiediamo ancora se ci piace o non ci piace questa modalità, oppure “ci siamo abituati?” Anche nel nostro piccolo mondo, più vicino a noi, sembra che questa maniera di fare politica, che solo per convenzione si chiama democrazia, abbia preso piede. L’ultimo caso, non eclatante o gravissimo, ma esemplare, è stata l’elezione dei Comitati di Quartiere che nel suo svolgimento ha destato alcune domande, almeno nella zona A di Vighizzolo. Forse si è dato per scontato che tutti i cittadini seguano quotidianamente la pagina online del Comune, oppure qualcuno ha pensato che inviare un messaggio WhatsApp a “tutti” fosse sufficiente; bisogna però chiedersi se “tutti” sta per tutti i miei amici/conoscenti e non è detto che pur avendo molti amici si possa raggiungere tutta una comunità. Pazienza, sarà andato a votare solo una porziuncola di cittadini, del resto bastano venticinque votanti per considerare valide le votazioni. Arriva il momento delle elezioni e ci si aspetta, come da locandina, che l’avvio delle procedure sia aperto da un rappresentante della Giunta attraverso un’Assemblea, ed in seguito si proceda alle elezioni; invece si parte subito di gran carriera, anche prima di avere tutti i nominativi dei candidati. Da qui in poi le indicazioni variano a seconda dell’orario di arrivo: si possono esprimere due preferenze, ma va bene anche una sola; si deve indicare un nominativo maschile e uno femminile e poi più tardi vanno bene anche due nominativi dello stesso sesso. Lo scrutinio crea poi incertezze perché non tornano i conti….alla fine il guizzo fa ricordare che il numero delle schede non è necessariamente la metà dei voti, perché non tutti hanno espresso due preferenze. Alla fine della fiera, al netto delle critiche e precisazioni, mi viene da dire: ma 600 e rotti voti su una popolazione di 26.000 persone delle quali almeno 18.000 con diritto di voto, non sono pochi? Più che una preferenza per questo o quel candidato, sembra un chiaro segno di disinteresse verso qualcosa che non appartiene, né rappresenta (a meno di averci un tornaconto). 

Smettiamola quindi, per onestà, di chiamarle “elezioni democratiche”. 

Chiamiamole sagra della politica, festival della democrazia che una volta ogni tanto si fa, e poi basta, si chiude e arrivederci alla prossima edizione. 

Silvia Tosoni