Ci auguriamo che la quarantena nazionale imposta per via della pandemia di COVID-19 sia stata affrontata nel modo più sereno possibile.

Ma si sa che questo, per molti, non è avvenuto. Anzi: la sospensione delle attività economiche ha significato ristrettezze per numerose famiglie.

La convivenza forzata ventiquattr’ore su ventiquattro non ha certo facilitato la sopportazione reciproca, soprattutto laddove già erano in atto dinamiche famigliari tossiche.

Ecco che il lockdown si è trovato, verosimilmente, a incentivare i fenomeni di violenza domestica.

L’associazione manerbiese “Donne Oltre” cura abitualmente un Centro di Ascolto per le vittime di simili fenomeni. 

Ma, dal 9 marzo 2020, il servizio è stato sospeso, sempre per via dell’emer-genza sanitaria in corso.

Carla Provaglio, interpellata dalla sottoscritta, ha ricostruito un probabile quadro della quarantena vissuta da coloro che si rivolgevano al suddetto Centro di Ascolto. Ha ipotizzato una situazione in cui marito e moglie hanno entrambi perduto il proprio modesto impiego, a causa del blocco delle attività economiche. 

Sono chiusi in casa coi tre figli, rispettivamente di tredici, otto e cinque anni. Per seguire le attività di didattica a distanza, il computer a disposizione è uno solo e l’unica connessione possibile è quella del cellulare del marito – non sempre sufficiente. 

I figli più grandi debbono dividersi il tempo per collegarsi con la scuola. 

Quanto alla spesa (fatta in gran fretta), i calcoli e le rinunce da fare sono molti. Poche occasioni anche di fare lavori domestici a ore, visto che tutti hanno paura del contagio.

Insomma, un accumulo di frustrazioni, tensioni e preoccupazioni: perfetto terreno per far germogliare violenze.

Ecco che, nel quadro pensato da Carla, il marito comincia a cercare freneticamente gli scontrini della spesa e ad accusare la moglie di rubare il denaro, o di spenderlo malamente.

Un pretesto per cominciare con le botte, ovviamente. I tre figli si rintanano; la moglie subisce, non potendo certo confrontarsi da sola con un avversario più forte.

La ricostruzione si conclude in modo apparentemente insensato: la vittima, alla fine del pestaggio, si dedica alle mille incombenze domestiche, come se niente fosse stato. Perché è il suo modo di pensare al domani. Perché, quando non si può scappare dall’inferno, la reazione è quella di volerlo far sembrare a tutti i costi un paradiso.

Erica Gazzoldi