Dal 2006, una donna lotta con tutte le sue forze per avere giustizia per sua figlia – uccisa dall’ex fidanzato – e per tutte le “Monia” del nostro Paese che subiscono la stessa sorte. Lei è Gigliola Bono che, passando di tribunale in tribunale, chiede che le vittime di femminicidio siano equiparate alle vittime di mafia e sia previsto, quindi, anche per loro, un indennizzo nel caso in cui il responsabile dell’omicidio non sia in grado di risarcire la famiglia della vittima. Una richiesta più che lecita, ma che fino ad ora non è stata ascoltata. Non solo. Quasi come in una situazione di Kafkiana memoria e quindi assurda e incomprensibile, ora la mamma della giovane assassinata il 13 dicembre del 1989 a soli 19 anni e gettata in un dirupo a Manerbio, è chiamata a tirare fuori di tasca propria 12 mila euro, spese di lite nei confronti di Presidenza del Consiglio, Ministero dell’Interno e Prefettura di Brescia. E’ quanto stabilito in seguito alla sentenza pronunciata dal tribunale civile di Roma che, in primo grado, ha rigettato la richiesta di indennizzo. Ma l’aspetto davvero raccapricciante di questa vicenda è che la nostra giustizia italiana non reputa un’emergenza i femminicidi che, invece, vengono considerati “reato comune”. Il giudice scrive “nella scelta del legislatore di prevedere un indennizzo a favore delle vittime di criminalità organizzata non può ravvisarsi disparità di trattamento rispetto alle ipotesi di omicidio comune che colpiscono il soggetto privato”. Gli indennizzi per le vittime di mafia erano stati creati in piena emergenza negli anni ’90. Oggi, per questo giudice, i femminicidi non sono un’emergenza. Dunque sarebbe interessante capire cosa intenda la giustizia italiana con il termine “emergenza”. Nel 2022 sono state 120 le donne uccise, di cui l’ultima, in ordine temporale, il 24 dicembre scorso. Un buon numero ma, evidentemente, per la magistratura, non sufficiente per rientrare nel novero delle “emergenze”. “Non pensavo di stare così male ancora dopo 33 anni” commenta Gigliola “non voglio un euro ma continuerò a combattere per questa causa fino alla morte. Ho più di 70 anni e fino a quando sarò in vita lotterò”. Poi, confessa la mamma di Monia, ci sarà qualcuno che porterà avanti la mia battaglia. Intanto Del Bono annuncia che ricorrerà in appello. L’omicida di Monia non ha mai risarcito la famiglia Del Pero che si è dovuta fare carico delle spese processuali. Il manerbiese omicida, che al tempo aveva qualche anno in più della sua vittima, ha scontato la condanna a 11 anni e otto mesi, cinque dei quali in carcere e il giorno dei funerali di Monia era già ai domiciliari. Lei invece, che aveva una vita davanti a sé e tanti progetti, è stata strangolata, denudata e infilata in sacchi della spazzatura.       

Barbara Appiani