Quando si parla delle feste natalizie, chi può ancora godere della compagnia di nonne e nonni avrà certamente sentito parlare del “Natale di una volta”.

Un momento di condivisione, in cui il calore della famiglia andava a scaldare le fredde notti del dicembre nelle cascine e nei casolari e dove la parola d’ordine, forse imposta da una povertà dilagante, era senza dubbio “frugalità”. 

Al giorno d’oggi invece, che si consideri un’evoluzione positiva o negativa, le cose stanno diversamente. Sì, perché nel corso degli ultimi decenni, con lo sviluppo della globalizzazione e della crescita dei mercati e del mondo di consumo, il Natale è diventato sempre più un’occasione di acquisito e di spesa, sia per chi vuole abbellire la propria casa, chi rendere il cenone o il pranzo più ricercato o, per la maggiore, chi non vuole far mancare ad alcuno un pensiero come si deve. 

Insomma, stando alle indagini promosse da molte realtà nel corso degli anni, specie associazioni di categoria e vari istituti di studio dell’economia, è risultato lampante uno sviluppo in positivo di vendite e di assunzioni nel periodo  natalizio. 

Si tratta di quello che gli economisti chiamano “effetto Babbo Natale”, il quale dà un importante impulso alle attività sia di vendita che di produzione. 

Il concetto è semplice: in previsione di un aumento di consumi quanto meno prevedibile le aziende tendono ad aumentare l’offerta e dunque anche la produzione, producendo un effetto in positivo rispetto all’output e all’incremento, seppur temporaneo, del personale.

I settori trainanti sono senza dubbio quello dell’agro-alimentare, quello turistico e in generale quello ricomprendente le attività commerciali, i quali fungono da trampolino anche per tutte le filiere ad essi collegati. 

Un piccolo “boom” insomma, che però lascia alcune perplessità. 

Si tratta infatti di una sorta di “effetto boomerang”, in cui, stando ai dati forniti dall’ISTAT, mentre il PIL, ossia il prodotto interno lordo, tende a raggiungere picchi importanti in corrispondenza dei mesi di ottobre, novembre e dicembre, finite le festività si assiste ad un brusco calo, passando da in media un +50% ad un -15% durante i mesi di gennaio e febbraio. 

Una variazione che dunque non segna un momento di reale crescita, ma che comunque cela forti opportunità.

Una di queste è sicuramente riferibile all’ambito occupazionale, che segna in questo periodo dell’anno un trend positivo. 

La necessità di assumere più personale al fine di sostenere i ritmi di una produzione in aumento vede una crescita nelle assunzioni che per il 2019 hanno segnato un buon numero, circa 15mila stando ai dati comparsi su alcuni quotidiani nazionali che hanno svolto indagini presso agenzie di collocamento e su siti internet dedicati.

Da rilevare un fatto: si tratta per la maggior parte se non esclusivamente di lavoro a tempo determinato, di una durata di circa tre/quattro mesi, ancora troppo limitati per garantire una qualche certezza. 

In sintesi dunque gli effetti positivi che l’economia registra nel periodo natalizio, sia dal punto di vista produttivo che occupazionale, danno una ventata d’aria fresca al mercato il quale però deve porsi necessariamente come obbiettivo quello di “sfruttare” questo momento come occasione reale e concreta di crescita stabile e duratura. 

Leonardo Binda