Nel nostro precedente articolo abbiamo descritto come si vestivano i bambini e i ragazzini negli anni ’70, o, per essere più precisi, di come venivano abbigliati dalle loro mamme e nonne. Ora, con un’ipotetica macchina del tempo, ci spostiamo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, dove quei fanciulli si ritrovano adolescenti in una società dilaniate da tensioni sociali, sfociate durante gli “anni di piombo”, dall’avvicendamento di ben tre Papi in pochi mesi e dall’avvento del Pentapartito al governo del Paese. Noi ragazzi, però, eravamo refrattari a problematiche di tale portata mentre venivamo colpiti dall’esplosione della disco-music, dalla “febbre del sabato sere”, dall’affacciarsi sulla scena delle prime TV private con nuove trasmissioni che sapevano coinvolgere la “nostra” fetta di pubblico.

Ed è proprio cavalcando l’onda del successo del fil di John Travolta che Antenna 3, nella persona di Zac Ferguson, allestì lo spettacolo “Travoltissimo”, dove il cantante e DJ Tony Manero passava in rassegna le discoteche lombarde alla ricerca di nuovi talenti. Anche le nostre amate Cupole prendevano parte alle selezioni e, quando le casse cominciavano a sparare la disco ad alto volume, sulle piste si riversavano frotte di aspiranti ballerini, intenti ad imitare le mosse travoltiane e sperando di farsi notare per essere invitati in trasmissione in onda ogni giovedì sera. Nella bolgia si vedevano camicie di raso, pantaloni scampanati e a vita stretta, colletti smisurati e stilavetti, il tutto indossato direttamente nei bagni della discoteca per non dare nell’occhio al momento della partenza da casa. Sono gli anni in cui i jeans iniziano a diventare un capo iconico nello smunto guardaroba di noi ragazzi. A Manerbio le Confezioni Manerbiesi e a Bassano Bresciano la Pango iniziavano ad immettere sul mercato locale a loro marchio questo particolare tipo di pantaloni, rispettivamente i “Forker” e i “Popoff”. Famosi e ricercati gli adesivi pubblicitari che rappresentavano questi due brand: la scritta della prima marca era inserita al centro di un rettangolo a strisce, nel cui lato alto campeggiava un semicerchio bianco con inserita all’ interno una moto da cross o un’auto da Formula1, mentre l’adesivo del secondo brand era in campo bianco con la scritta cubitale leggermente arcuata impressa con un potente colore rosso.

Oltre alle classiche bancarelle del mercato, i punti vendita per acquistare un paio di jeans a Manerbio erano il negozio dei coniugi Cantaboni in via Roma e “Bigiai” al Purtù in fondo a via Mazzini. Dai primi potevi trovare Wrangler e Roy Rogers, dal secondo i mitici Levis.

L’apertura del Sergeant di San Martino fu, senza dubbio, di un notevole impulso all’affermazione di una nuova concezione per il modo di vestire di noi ragazzi: lì venivano i primi Fiorucci, all’interno di una scatola di latta con raffigurate delle ballerine, e i Clipper, consegnati con una catenella da agganciare al passante della cintola con all’estremità un coltellino. Anche il Mister Folly di Leno e Caffi ad Orzinuovi erano due capisaldi per la moda giovanile dell’epoca.

Andavano per la maggiore anche i capi d’abbigliamento di seconda mano: così, noi ragazzi senza patente prendevamo il treno per andare in città e dirigerci verso Il Campo di Fragole e il Quarry (poi diventato Luna Strass) per comprare quei capi d’abbigliamento vissuti, la cui seconda vita sembrava farci diventare davvero più “fighi” (soprattutto se ai jeans facevamo cucire degli inserti laterali a “V” che personalizzavano e rendevano unico il pantalone indossato). Il tessuto denim poi era protagonista anche nel confezionamento di giubbini, molti dei quali si elevavano a personali status-symbol se sulla parte posteriore campeggiava l’immagine di un personaggio o di un logo particolare. Sulla schiena di noi ragazzi potevi vedere Marilyn Monroe, Bob Marley, la lingua dei Rolling Stones, il simbolo della pace, e tutta quella iconografia presa a modello da quella generazione che si avviava a vivere gli sfrenati anno ’80.