Con questo articolo inizia la mia collaborazione con Paese Mio.
Da tempo scrivo sul blog Brescia Genealogia e da amante ricercatore di storia locale mi diverto a divulgare aneddoti bresciani e piccole scoperte personali, ricavate da tanta lettura e dalla mia passione di scartabellare negli archivi dispersi sul territorio.
Istruito dal parroco di S. Anna, don Giovanni Donni, che da oltre un decennio insegna i rudimenti della ricerca d’archivio a dilettanti come me, concentro i miei studi sulla genealogia delle famiglie bresciane e sulla storia della Franciacorta.
La nostra Rovato, in particolare, è al centro delle mie curiosità e spero che questi appuntamenti su Paese Mio possano contribuire a risvegliare il vostro interesse e l’orgoglio di appartenere a questa comunità.
Colgo l’occasione per pubblicare una planimetria inedita del castello di Rovato che trovai oltre due anni fa nell’Archivio di Stato di Brescia.
Non ho ancora avuto modo di parlarne e mi dispiacerebbe non farlo, visto che si tratta forse dell’ultima rappresentazione del castello con entrambi i rivellini a riparo delle porte.
La planimetria è stata disegnata nel 1777 dal pubblico agrimensore Domenico Corbellini (ingegnere di spicco del tempo) su ordine delle autorità di Brescia: il podestà Antonio Zulian ed il capitanio Barbon Vincenzo Morosini.
Il disegno si rendeva necessario per identificare con precisione le fosse e i terragli che coronavano il castello, al fine di illustrare al Doge e al Senato di Venezia la richiesta che tale Lorenzo Bassanesi stava avanzando.
Questo borghese aveva intenzione di usufruire dei terreni degli spalti e delle fosse per piantarvi alberi di gelso, noti anche come “moroni”, «…con Pubblico e privato vantaggio, e per il maggior prodotto della Seta».
La richiesta è in linea con le analisi che gli storici hanno fatto sul periodo.
Dalla metà del settecento si stava ampiamente diffondendo nel bresciano la sericoltura, con centri di produzione della seta concentrati attorno a Chiari e Palazzolo.
La resa economica di questa attività sarebbe esplosa proprio tra gli ultimi anni del settecento e la prima decade del secolo successivo, rendendo talmente vantaggioso l’impianto di gelsi da giustificare anche la riduzione della resa cerealicola, dovuta all’ombra che le piante proiettavano sul seminato.
L’inversione della resa economica nel ‘900, soprattutto con la comparsa del nylon, ha prodotto l’esatto fenomeno opposto: la presenza di questi alberi sui terreni delle nostre campagne ha cominciato a sparire, restituendo un paesaggio glabro e spoglio.
Ascoltando i nostri contadini la spiegazione di questi tagli è proprio da ricercarsi nell’ombra prodotta dalle piante che limiterebbe la crescita del mais.
La vicenda testimonia proprio la ricerca di nuovi terreni da mettere a coltura con i moroni: la domanda era tanto alta da voler sfruttare persino gli spalti del castello!
Ma perché coinvolgere il Senato?
Semplice: le fortezze erano di competenza della Signoria, pertanto ogni attività che interessava le mura, i torrioni o le altre costruzioni difensive doveva passare dalla capitale.
Così, l’8 marzo il Senato approvavò la soluzione proposta con relativo canone da versare alle casse statali per lo sfruttamento di “campi padovani” 5 e 1/4 (un campo padovano corrisponde a circa 3863 mq).
Tuttavia l’operazione non filò completamente liscia. Sono anni in cui la politica locale era spesso movimentata da lotte intestine ed alcuni rappresentanti del Comune si misero di traverso volendo inserirsi nella trattativa. Il 16 maggio 1777 il capitanio di Brescia mandò un suo fante a Rovato per difendere gli interessi di Lorenzo Bassanesi.
Il sindaco Francesco Franzone e i due reggenti, Fachi Angelo e Menoni Ottavio, furono ammoniti di non ledere gli interessi del privato e della Repubblica e costretti a farsi da parte.
Alberto Fossadri
Fonte dell’immagine: A.S.Bs/Cancelleria
prefettizia superiore/B.38