Un piatto della tradizione popolare non nasce mai per caso e assai raramente gli si può ascrivere una data di nascita precisa. Accade per il manzo all’olio di Rovato, al quale i ristoratori della città franciacortina dedicano questo mese di aprile. Abbastanza chiaro è l’intreccio delle condizioni sociali che condussero alla realizzazione del manzo all’olio come è conosciuto oggi. Già dalla fine del Quattrocento fu concesso di celebrare un mercato settimanale a Rovato. Un luogo geograficamente perfetto: allo sbocco della Valcamonica, sulla direttrice di Brescia, Bergamo, Milano e Cremona, ma soprattutto strategico poiché si trovava non distante dai confini più occidentali della Repubblica di Venezia. Una congerie di merci per secoli sono state scambiate a Rovato da persone che venivano a contatto per perfezionare affari, veicolo di culture spesso distanti tra loro. Al mercato non solo bovini da carne e da latte, greggi e armenti. Ma anche ingredienti provenienti dagli avamposti di Venezia sull’Adriatico, come sale e pesce conservato, formaggi, stoffe e spezie. Sino a metà del Settecento il panorama agrario poteva essere simile a quello attuale, con la presenza di ulivi sui laghi e sulla fascia pedemontana prima che i rigidi inverni tra metà del XVIII secolo e inizio Ottocento determinassero la loro scomparsa. E nel frattempo s’era dissolta anche la Repubblica di Venezia, i cui possedimenti erano stati ceduti all’Arciducato d’Austria. Le prime ricevute che rimandano al manzo all’olio portano la data della fine di quel secolo. Tra il 1877 e il 1886, nell’inchiesta parlamentare del Regno d’Italia, che porta il nome del suo ideatore, il deputato Jacini, si riferisce che “nella zona di Rovato si cura maggiormente la carne e i proprietari tengono maggior quantità di buoi che non siano necessari per la lavorazione del fondo. Per cui si hanno quantità di buoi d’ingrasso abbastanza pregiati”. Nel 1928 il Comune di Rovato istituisce la fiera del Bue grasso in prossimità delle feste pasquali. Oggi però la peculiarità del Manzo all’olio di Rovato risiede nel metodo di cottura, che è una via di mezzo tra il bollito e la stufatura del cappello del prete, il taglio anatomico necessario per la sua realizzazione grazie alla marezzatura che lo contraddistingue. Anche la presenza di una salsa che viene realizzata dal rilascio degli umori della carne, dell’acqua e dell’olio dove questa giace per almeno due ore e mezza a fuoco vivace e si rapprende con l’ausilio di pane ed eventualmente Grana Padano DOP, è un unicum nel panorama della gastronomia. Si può pertanto affermare che il Manzo all’olio di Rovato sia un piatto intriso delle vicende storiche e sociali che il territorio ha vissuto. Questa fu una ragione che spinse l’Amministrazione comunale a tutelare questa preparazione per mezzo di un marchio collettivo definito Denominazione Comunale (DE.CO.) e registrato presso il Ministero dello Sviluppo Economico. Questo marchio, di proprietà comunale, è a disposizione per l’uso di tutte le attività che, seguendo l’apposito disciplinare di produzione, ne facciano richiesta. Ciascun locale che aderisce al progetto di preparazione del Manzo all’olio di Rovato secondo il metodo richiesto dal disciplinare si potrà fregiare di un simbolo di riconoscimento da utilizzare in modo conveniente fuori dal proprio esercizio o sulla lista delle vivande. E, come si diceva un tempo, diffidare dalle imitazioni (così come dalle finte Denominazioni Comunali che imperversano anche nel bresciano) è buona cosa.