…Continua

A Rovato in quel periodo nasce un qualcosa di totalmente inaspettato, impensabile.

Una ventina di noi giovani rovatesi veniamo avvicinati dall’allora curato dell’oratorio, don Giuseppe Borra. Fisico alto uno e novanta possente, cultore della musica, decisionista come pochi.

Da noi era venuto nel dicembre del 1945, ci lasciò nello stesso mese del 1949 quando il Vescovo di Brescia, Giacinto Tredici, lo aveva nominato monsignore, prevosto a Gardone V.T..

Entro subito nella sostanza, senza giri di parole: il sacerdote ci informa che a Rovato sono entrate clandestinamente tante, tante armi, destinate e consegnate ai Social-Comunisti del luogo. E siccome la situazione social-politica stava degenerando ovunque, toccava anche a noi prepararci alla difesa, semmai fosse stata necessaria!

Insomma, non guerra, assolutamente difesa sì.

Al maresciallo dei C.C. di Rovato Artuso, al corrente di tutto, interessavano solo i nostri nominativi. Evidente che le autorità, su su in alto, sapevano. Poi il sacerdote ci invitò a seguirlo al piano superiore dell’oratorio, apre due porte e a noi tutti scappa un “Hoooooo…” lungo, lungo: nelle due stanze tante armi da guerra.

Ricordo di due mitragliere Breda, fucili Mauser tedeschi come pure le tedesche machinepistole a raffica, bombe a mano con manico lungo di legno e pistole famigerate nella storia come la P38.

Poi moschetti Carcano in dotazione all’arma C.C., un Parabellum russo, una pistola mitragliatrice Sten in dotazione ai paracadutisti inglesi, mitra a canna bucata, bombe a mano inglesi e americane Ananas (le più micidiali distruttive) e le italiane Balilla e Breda.

Preciso Subito: mai saputo da dove fossero arrivate e nemmeno dove fossero finite quando ripartite da Rovato. Istruttori i ventunenni A.A., B.B. e C.C.; avevano già indossato divise militari e manipolato armi in dovuti addestramenti.

Loro ventunenni, noi sedici-diciassettenni. I tre, gran belle figure nel proseguo della loro vita, tra le migliori nel lavoro e socialmente.

Si iniziò suddividendo il gruppo in tre parti, sei ognuna, assicurando presenza nelle ventiquattro ore, in quelle notturne avremmo trovato giaciglio in sito. Chi di vedetta, sempre lassù nella parte più alta dell’edificio dove sta una finestrella frontespizio il cancello di entrata; con il Comandante la stazione Carabinieri si concordò il modo di allarme nel caso di parvenza ritenuta pericolosa: la sistemazione di un lungo filo di metallo che, dipartendo alla finestra di vedetta, arrivasse sino all’interno della caserma C.C.

Questa, a quei tempi, trovava sede in via Spalti, angolo via Verdi, confinando con l’oratorio. Non esisteva il teatro Don Bosco, sorto esattamente un anno dopo. Ai capi del filo due campanelli comuni avrebbero dato l’allarme se mai tirato il filo.

Nello stesso periodo, dove a Rovato prendeva corpo tale struttura, un’altra nasceva a Coccaglio, sempre nella massima segretezza, anche stavolta plasmata da un sacerdote: don Remo Tonoli, persona tosta e capace, in seguito fu nominato arciprete e parroco della cittadina confinante.

Anche stavolta, sempre in concerto con il comandante dei C.C., all’ora stazionati in loco, non a Cologne.

A distanza di tempo, si capì bene che non era l’ecclesia la fondatrice e direttrice di tali movimenti di uomini e armi, ma istituzioni nei punti più alti.

Parallelismo, insomma. Nel caso nostro i sacerdoti avrebbero solamente passato i nominativi dei volontari partecipanti e loro sistemazione.

Non posso dire, perché non so, se in altri Comuni fossero sorte simili associazioni.

Ometto illustrare sensazioni, batticuore, preoccupazioni e angosce in quei tre mesi di casermaggio, specialmente quando la notte.

E l’odio politico crebbe, religiosi invisi e derisi. All’ingresso della canonica dove mons. Zenucchini tanto amato per bontà e carità, con vernice qualcuno aveva scritto: “…con la pelle faremo le pantofole, con la carne faremo salcicce”. Da non credere!

Dall’Emilia Romagna anche i giornali a dar più spazio alle terribili violenze perpetrate.

Ne descrisse tante nel 1980 Gianpaolo Pansa, giornalista famoso di sinistra, nel suo libro “Il sangue dei vinti”, dopo sue indagini caparbie quanto precise. Nella notte buia del male, anche a Rovato due persone vennero uccise: l’avvocato Aldo Bonati, nella sua casa in via Don Minzoni incendiato con materiale bellico, e il giovane Carlino Buizza, ammazzato a bastonate.

Lo spazio non mi permette tanti altri fatti che vorrei scrivere, per cui ritorno al precedente.

Per noi “volontari” durò all’incirca tre mesi; poi ci informarono che il periodo giudicato di pericolo era terminato. Due giorni dopo, ritornati all’oratorio, non vi era più parvenza di armi. Ancora oggi non ho capito da dove arrivate e dove collocate.

Il capitolo così si era chiuso definitivamente da una parte, ma dall’altra?

Delle armi in possesso dalla “controparte” mi ha spiegato tutto l’amico Leopoldo, lucido testimonio vivente lui, le ha viste e toccate, erano tantissime, tutte tedesche; sicuramente più di cento forse centocinquanta.

Trattavasi, lo ricordiamo, di fucili Mauser di precisione con cannocchiale sulla canna (lui a ricordo ne tiene una di quelle lenti), mitragliatori per tracolla, Machinepistola, bombe a mano con manico e tante rivoltelle, niente armi pesanti.

Siffatta quantità di materiale era stata celata in ampi cunicoli a ridosso della chiesa dell’Annunciata sul Monte Orfano.

Sembra incredibile, ma in quel posto sono state occultate sino al 1963-64. Leopoldo racconta di non aver mai saputo della provenienza, ma di saper dove sono finite: a Cremignane, dove acqua e torba costeggiano la strada; per colà trasportarle i responsabili della detenzione e dell’occultamento si erano avvalsi di un compiaciuto tassista. Gli occorsero dieci o dodici viaggi.

Lui, Leopoldo, aveva incarico ben preciso per il trasloco. Ricorda bene perché, apripista del taxi, in alcuni di quei viaggi stava alla guida della sua fiammante Fiat 600. Gran bella persona l’amico; alle parole populismo, sovranismo, ideologie e tante altre, antepone le sue che sono anche le mie: semplicità, sincerità.

Nessuna sponda ci divide, ci unisce sorriso e stretta di mano. Che bello!

Rientro e riallaccio, dunque, l’informativa della sconosciuta intellighenzia di quei tempi lontani era ben precisa, il tassello aveva trovato la collocazione.

Tutto corrispondeva.

LE ELEZIONI POLITICHE DEL 1948

E poi, e poi il tempo galoppa, fugge fino ad arrivare al diciotto aprile 1948, esattamente un anno dopo di quanto raccontato, le prime elezioni politiche che diedero il seguente risultato in campo nazionale:

Democrazia Cristiana: 12.740.000, pari al 48.51%;

Comunisti: 8.136.00 voti, pari al 30.98%;

Socialisti: 1.858.000 voti, pari al 7.07%;

Monarchia: 729.000 voti, pari al 2.78 %;

P.R.I. Partito Repubblicano: 651.000 voti pari al 2.48%;

Movimento Sociale M.S.I.: 526.000 voti pari al 2.1%;

Altri …….

AFFLUENZA: 92.12% della popolazione.

Rovato da parte sua così si espresse:

Elettori ammessi: 6.621; votanti 6.349, di cui 30 bianche e 134 non valide;

Democrazia Cristiana: 4.185 voti, pari al 67.34%;

Comunisti (fraz. Dem. Popolare): 1.577 voti, pari al 25.27%;

Socialisti: 244, pari al 3.93%;

M.S.I.: 71,  pari al 1.14%;

Blocco Nazionale 51 pari al 0.82%

P.R.I Partito Repubblicano: 26, pari al 0.42%

Contadini: 5,  pari al 0.08%

Movimento Nazionale: 4, pari al 0.06%;

Percentuale altissima: 95.89% degli aventi diritto al voto.

Ecco, l’Italia si era espressa chiaramente, significando nella mappatura delle zone le varie tendenze politiche.

Scemò poco a poco la violenza politica e sociale, ma sempre con troppa lentezza.

Nel 1871, nella Seconda guerra per l’Indipendenza italiana, Giuseppe Garibaldi sbarcò a Calatafimi con i “Mille”, 65 anni prima ch’io lo imparassi nelle aule di scuola. Mi sembrava un tempo ancor, più che remoto…

Settantotto anni dopo (tre generazioni!) racconto fatti accaduti nella nostra città, ritenendolo giusto. Comunque li si voglia commentare, vedere e giudicare, auspico giudizio sereno perché pagina di storia locale in anni non sempre facili da descrivere.

Questo mi auguro con P.P., anche lui facente parte “della ventina di giovani” nell’anno 1947.

Ho finito.

Tarcisio Mombelli Serina

(Trascrizione a cura di Stefano Toscani,  adattamento a cura di Emanuele Lopez)