Carlo Monterenzi è un fotografo ben noto ai manerbiesi. Ha cominciato a praticare la fotografia negli anni ’70. Ha fatto i propri primi esperimenti con la Comet della madre; poi, è passato alla sua prima reflex, una Zenit: una macchina di fabbricazione russa, di cui ricorda la buona qualità ottica e la pessima meccanica. Quest’ultima gli fu sottratta durante il servizio militare. Ma l’incidente non frenò la sua passione: al ritorno dalla leva, acquistò una Minolta, marchio al quale rimase affezionato fino all’avvento del digitale.

Lavorò per due anni in un negozio di fotografia di Brescia; poi, aprì il proprio studio a Manerbio nel 1987. Attualmente, esso è gestito dalla figlia Claudia.

Un capitolo della mostra “In Essere”, presso il Bar Borgomella (13-26 febbraio 2022) è stato dedicato a lui e alla sua produzione, spaziante per vari generi.

Un notevole ruolo, in essa, è giocato dal bird watching, ovvero dagli scatti che rappresentano gli uccelli in natura. Non a caso la locandina dell’esposizione ritraeva un martin pescatore. Ci sono poi le trasparenze delle ali di libellula, o i riflessi acquatici uniti alla leggerezza dei piumaggi.

Un filone decisamente manerbiese è quello dedicato agli spettacoli teatrali andati in scena al Politeama: i momenti più intensi delle rappresentazioni sono ritratti nei loro forti chiaroscuri. Altri scatti (perlopiù in bianco e nero) sono invece foto di viaggio, realizzate sia in città che in campagna.

Le fotografie a tema naturalistico sono le preferite da Monterenzi, che è però affezionato a tutte le proprie opere. Fra di esse, se ne segnala una ispirata al “Passero solitario” di Giacomo Leopardi e rappresenta l’omonimo uccellino. Il legame con la poesia e l’attaccamento affettivo derivano dal fatto che la fotografia è un’arte come le altre: ben lungi dall’essere freddamente oggettiva (come qualcuno la vorrebbe), comporta selezione, creatività, prospettive soggettive. La scelta dell’inquadratura, della luce e dei colori non è mai neutra.

Il digitale ha reso il mestiere del fotografo meno faticoso e più ecologico; ma alcuni puristi praticano ancora la fotografia chimica, di cui amano alcuni particolari effetti.

Gli scatti esposti al Borgomella erano comunque tutti digitali, a dimostrazione del fatto che l’evoluzione tecnologica dei mezzi non ha tolto né varietà, né poesia a quest’arte. Parente stretta del cinema e spesso alleata del teatro (come nel caso che abbiamo visto), la fotografia rappresenta la vita nei suoi momenti irripetibili.

Erica Gazzoldi