Tempo fa, avevamo dedicato un po’ di spazio a un’iniziativa, che ci pareva interessante: un progetto che ha visto collaborare l’Università Cattolica di Piacenza, l’Istituto di istruzione superiore Vincenzo Daldolo di Bargnano e la Cassa Rurale.
L’idea, ma forse sarebbe meglio dire la scommessa, era quella di riportare la vite, quindi il vino (vino buono, s’intende), nella Valle dell’Oglio. Riportare perché pare che, un tempo magari lontano, la vite cresceva anche da queste parti. Poi, come spesso accade, tutto s’è perso nei meandri del tempo. A riportarci indietro nel tempo, o se preferite a ridarci quello che il tempo ci aveva portato via, ci hanno pensato le tre succitate realtà, che, con un prezioso e certosino lavoro, sono riuscite a vincere la scommessa.
Non è stato facile, perché non si trattava di reintrodurre la vite così, una tantum, in questo o quel campicello; l’idea, infatti, era quella di fare qualcosa non solo di buono (il vino), ma che durasse nel tempo. E allora ecco un approfondito studio non solo del suolo, ma anche del clima, perché chi conosce il vino e la vita in campagna sa che ci sono vitigni che vanno bene per un terreno e, magari, non per un altro. Sono stati individuati due terreni: uno a Borgo San Giacomo, l’altro ad Acqualunga. Va da sé che lo stesso e approfondito lavoro fatto per i terreni è stato fatto anche sul clima, altro elemento che influisce non poco sulla vite e sulla produzione.
Fatti questi studi, e in verità altri ancora, dal cilindro degli esperti è uscita la soluzione giusta: puntare sul rosso. Infatti, facendo ricorso agli appositi porta innesti, sono state messe a dimora alcune varietà, quali Merlot, Barbera, Syrah, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e, tanto per non farsi mancare niente, pure il Marzemino.
Come è sin troppo facile immaginare, tutto questo non è stato fatto in uno schiocco di dita: c’è voluto un preciso e puntuale lavoro, che non a caso risale al 2014. Ma ne è valsa la pena, perché, dopo tanta fatica, le speranze sono state ripagate, visto che, poche settimane fa, gli studenti dell’Istituto Dandolo hanno avuto la soddisfazione di avere tra le mani i grappoli di uva.
Naturalmente non è finita: per arrivare a produrre un vino di qualità bisogna procedere con le analisi chimiche, sentire gli esperti eccetera eccetera, non foss’altro che per vedere se c’è qualcosa da perfezionare.
Ma, oramai, il dado è tratto e i frutti sono (letteralmente) tra le mani. Quando si potrà assaggiare il prezioso nettare? Presto, molto presto. Diciamo in primavera. MTM