E’ innegabile che il nostro secolo sia quello della crisi dei modelli. Indifferenza, strafottenza ed inconsistenza plasmano giorno dopo giorno inerti “prigioni” di terracotta, tanto fragili ed inermi quanto\ immobili ed evanescenti monoliti di cartapesta. Eppure, scavando non senza qualche reticenza e lacrima nel passato di alcune straordinarie anime si può ancora leggere, umile e sommesso tra le righe, il ricordo di una generazione di donne e uomini che con estrema modestia, dedizione e amore hanno saputo costruire molto di ciò che oggi noi diamo per scontato.

Il 2021 è anno funesto per molti motivi, inutile girarci attorno. Lo scorso ottobre, alla mestizia di un annus horribilis come questo, s’è aggiunta una ricorrenza estremamente dolorosa per la nostra comunità. L’8 ottobre del 2001 evoca in noi, con un brivido lungo tutta la schiena, il silenzio assordante di una comunità stretta, attonita, intorno a centodiciotto vittime innocenti del peggior incidente aereo mai accaduto nel nostro Paese. Su quel volo della Scandinavian Airlines c’erano anche due amici, due padri di famiglia con due menti grandi almeno quanto i loro cuori. Si chiamavano entrambi, ironia della sorte, proprio Luigi, l’uno Motta e l’altro Mussida.

Catone scriveva: «Rem tene, verba sequentur», che tradotto potremmo rendere come «possiedi l’argomento, le parole seguiranno». Chi scrive Gigi Motta e Luigi Mussida non li ha mai conosciuti anche se, nei racconti e nelle memorie, spesso ne aveva sentito echeggiare la fama. Ed è così, osservando con curiosità ed un certo senso di deferenza il ritratto a maglie larghe che si presentava innanzi, che nasce il desiderio di andare più a fondo, di sentire dalla voce di due donne, mamme e nonne estremamente coraggiose come Ivana e Tina, mogli rispettivamente di Motta e Mussida, qualcosa in più sulla vita di coloro che ho sempre sentito nominare come delle gran belle persone.

E così, davanti ad una tazza di tè senz’altro ottimale in un periodo di avvisaglie invernali, le lingue si sono sciolte in un turbinio di ricordi capaci di dare colore e vita alle emozioni.

Gigi Motta e Luigi Mussida parlavano la stessa lingua, amavamo il proprio lavoro e vivevano ogni esperienza della loro vita come una grande opportunità. Fu proprio il lavoro ad unirli, a farli conoscere e a spingerli verso Est, alla “conquista” di quei territori che fino ad un decennio prima avevano conosciuto l’arretratezza e la povertà dell’oppressione comunista. Progetti, sogni e speranze che si innestavano, come una casa con le fondamenta, su una straordinaria passione. L’uno, Motta, era un chimico, formato nella trincea del lavoro ed apprezzato professionista mentre il secondo, Mussida, incarnava appieno lo spirito imprenditoriale lombardo, dedita, ingegnosa e solerte guida della Nuova ODO, azienda di produzione di oli e margarine alimentari protagonista eccellente della storia industriale orceana. La provocazione: fondare un impianto di produzione in Lituania, una sorta di “stabilimento di assemblaggio” che avrebbe permesso di produrre in loco materie prime di qualità per la locale industria alimentare. Questo era il progetto che aveva fatto sognare i due Luigi. Tanti i viaggi in un Paese che era stato per decenni al di là della “cortina di ferro”, tante le risate e le notti insonni, tanti i momenti in compagnia, come raccontano le due mogli, a scherzare davanti ad un piatto di ciorbă, una minestra acida diffusissima nell’Est europeo e piatto prelibato per i palati di due “lombardi doc” abituati ai sapori forti della cucina de noàlter. Anche a distanza di migliaia di chilometri Orzinuovi era sempre nel cuore, così come loro in quello degli orceani. Gigi Motta aveva trascorso la sua infanzia tra i banchi dell’omonimo bar in piazza Vittorio Emanuele II, luogo d’incontro e scontro delle migliori menti del paesello, dove aveva fondato il primo club cittadino della sua squadra, l’Inter, che ancora all’epoca giocava con la maglia dell’Ambrosiana. Luigi Mussida era invece originario di Casalpusterlengo, dove la sua famiglia gestiva una grande azienda, la SAMOR, e il suo destino si intreccia con la “capitale della Bassa” proprio quando il padre, Mario, decide di rilevare un’azienda, l’Oleificio di Orzinuovi, in piena crisi e a serio rischio di chiusura. Un vero salto nel vuoto, che però nel corso degli anni, grazie ad una gestione attenta e meticolosa si trasformerà in uno dei gioielli dell’imprenditoria bresciana. Come dimenticare poi gli anni del basket, del calcio, delle competizioni sportive a fianco dei giovani talenti e sempre in prima linea per favorire la crescita di ciascuno, per far sì che chiunque come loro, solerte e sempre pronto a rimboccarsi le maniche, avesse la sua occasione, avesse modo di iniziare ad avventurarsi lungo la strada del successo. Inizia così anche l’avventura politica, che Mussida visse sempre con vivo interesse, senza però mai scadere nelle bassezze che troppo spesso caratterizzano l’agone civile, mostrando anche qui una statura encomiabile ed invidiata.

Poi fu quel triste 8 ottobre, oggi divenuta ufficialmente giornata nazionale in ricordo delle vittime. Lì sembrò tutto fermarsi, entro il dolore lacerante di una perdita improvvisa e sconvolgente. Eppure non tutto si perse ma anzi il seme di bene e disponibilità verso il prossimo piantato da Motta e Mussida germogliò nella creazione di ente, il Comitato 8 ottobre, che ancora oggi unisce le famiglie di coloro che persero la vita nel tremendo incidente, portando in Italia e nel mondo sostegno a quei genitori, figli e nipoti che la sorte ha voluto perdessero in tal guisa un proprio caro. Ed è così che le buone azioni si trasformano in modelli, in ricordi che si fanno memoria da tramandare, comprendere ed emulare, così meravigliosamente personificati da coloro che si uniscono nell’amore per i due Luigi: le mogli, i figli, i nipoti e tutti gli amici e coloro che, orceani e non, privati ed associazioni, ebbero modo di ascoltare le sagge parole di due anime che ancora oggi, anche dopo vent’anni, sanno ispirare coraggio, dedizione ed attaccamento ai quei veri valori che mai verranno meno.

Leonardo Binda