È stato veramente un fiume caldo di affetto e nostalgia quello che si è riversato sui social in occasione della notizia del decesso di Irene Bicelli, l’ultima delle leggendarie “zie” di Bredazzane. Sono stati centinaia i messaggi lasciati sotto il pezzo online della nostra testata “Paese Mio Montichiari” e oltre 60 mila le visualizzazioni dedicate ad una figura leggendaria non solo per i monteclarensi ma per tutti i giovani che erano soliti recarsi a trascorrere qualche fine serata nel locale “Houston” di Bredazzane. Era così chiamato, infatti, il bar che gestiva Rina Bicelli, sorella di Irene la quale non disdegnava di darle una mano nel fine settimana quando, libera dal suo lavoro come direttrice dell’ufficio postale, affiancava la sorella e il fratello Ettore nel servizio. Classe 1922, Irene era crescita con i fratelli, sei in tutto, a Bredazzane. Estremamente intelligente e spirito libero, si era dedicata con profitto allo studio e si era impiegata prima come operaia alla ditta di giocattoli “Poli” e poi, dopo il diploma, agli Uffici del Ministero del Tesoro di Brescia. Vinto il concorso era diventata direttrice dell’ufficio postale di Montichiari dove dirigeva una trentina di persone tra le quali anche il fratello Ettore per poi, agli inizi degli anni Ottanta, spostarsi sempre come dirigente all’ufficio postale di Ghedi prima e Orzinuovi poi. Donna moderna, fra le prime ad avere la patente in paese e a guidare la vespa, è stata un esempio di emancipazione femminile portata avanti con eleganza e sobrietà e senza mai dimenticare l’amore per le proprie radici e la famiglia. Nonostante la sua posizione, infatti, non era insolito trovarla ad affiancare la sorella Rina nel bar Houston soprattutto nella parte economica dell’attività commerciale. Fra i messaggi arrivati sulla nostra pagina online, molti la ricordano come una presenza dolce e garbata a fianco ai due fratelli custodi di un luogo dove era la norma sentirsi veramente accolti. «Ricordo due stanze – rammenta il sindaco Marco Togni nel suo ricordo – la prima aveva un bancone in laminato bianco opaco e azzurro lucido. La luce era garantita da sofisticati lampadari a lampadina. Anzi, solo dalla lampadina. I tavoli erano misti, alcuni in legno altri in laminato, accoppiati o spaiati a sedie di altrettanta fattezza. Quanto la gente era troppa per essere contenuta nella prima stanza si andava nel “privé” che altro non era che la cucina stessa della casa di Rina e Irene. Talvolta si veniva dimenticati da parte delle zie in cucina e ci si arrangiava come si poteva prelevando direttamente dal frigo o aprendo gli armadi della cucina. Poteva capitare di rimanere lì da soli anche un’ora a consumare quel che si voleva e poi che all’uscita una delle due ti chiedesse: “Che ghet biit? Che ghet mangiat?” (cosa hai bevuto, cosa hai mangiato?). Praticamente era come fare la dichiarazione dei redditi e, in base credibilità che dimostravi, ti facevano pagare di più o di meno. Altri tempi! Con l’ultima “zia” se ne va un pezzo di quell’epoca meravigliosa che fa parte della nostra gioventù e che tanto ci mancherà» «Quante serate passate dalle zie – replica un commento social – Le più belle e spensierate della mia gioventù. Ci si dovrebbe scrivere un libro su quella stagione, sulle generazioni che da lì sono passate, sul senso di solidarietà, fiducia ed amicizia che aleggiava nell’aria. Grazie di tutto Irene. Grazie Rina ed Ettore, ora siete di nuovo tutti insieme e aprirete un bar in Paradiso».

Marzia Borzi